A quanto pare la grande marcia dell’industria finanziaria nel sostenere la transizione energetica potrebbe vedere una decisa battuta di arresto.
Vanguard, una delle società finanziarie più importanti al mondo, ha deciso di uscire dall’alleanza degli asset manager che si sono impegnati ad affrontare il problema del cambiamento climatico.
La notizia, oltre a deludere molti investitori che avevano puntato sugli investimenti green, è destinata ad alimentare un vivace dibattito sul ruolo della finanza nella lotta al surriscaldamento globale.
In questo articolo analizzeremo le motivazioni della decisione di Vanguard e quali siano le conseguenze per il settore degli investimenti sostenibili.
Indice
Net Zero Asset Managers: l’immagine green della finanza
L’iniziativa Net Zero Asset Managers nasce nel dicembre del 2020 e raggruppa circa 300 società di investimento che si sono impegnate nella lotta al cambiamento climatico.
Attraverso la raccolta dei capitali conferiti dai risparmiatori, i grandi asset manager arrivano a gestire ingenti patrimoni che vengono poi destinati all’investimento in azioni delle grandi società in tutto il mondo.
Quindi, in qualità di azionisti di un certo rilievo, le società finanziarie possono influenzare le strategie aziendali esprimendo le proprie preferenze di investimento. Ad esempio possono nominare nuovi amministratori che promuovano investimenti per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Oppure possono bocciare progetti che non rispettino l’ambiente.
Complessivamente le società di investimento che fanno parte dell’alleanza Net Zero Asset Managers (NZAM) gestiscono oltre 60 mila miliardi di dollari.
Difficile dare una misura oggettiva a una cifra con così tanti zeri, ma si capisce che con una simile potenza di fuoco, l’iniziativa ha tutti i numeri per ottenere risultati tangibili.
Ebbene, il 7 dicembre Vanguard ha annunciato la decisione di lasciare questa nobile iniziativa.
Perché?
La decisione di Vanguard
Credo che Vanguard non abbia bisogno di presentazioni. Per i meno appassionati stiamo parlando di una delle più grandi case di investimento famosa, soprattutto, per aver dato una forte accelerazione allo sviluppo del mercato degli etf.
Vanguard deve gran parte della sua notorietà al carisma del suo fondatore John Bogle autore, tra l’altro, del best seller “Il piccolo libro del’investimento”.
Giusto per dare un’idea del peso di Vanguard nel settore della finanza, questa infografica mostra le prime 20 società di investimento al mondo per capitali in gestione:



Nel suo comunicato Vanguard motiva la sua scelta nella difficoltà ad applicare gli approcci net zero agli indici azionari su cui investono i prodotti gestiti dalla società.
In parole più semplici, Vanguard ammette la difficoltà di raggruppare in modo omogeneo ed efficiente azioni di società che rispecchino i principi di sostenibilità.
Vanguard ribadisce che, comunque, proseguirà nel suo impegno per contrastare il cambiamento climatico attraverso l’interazione con le società in cui investono i suoi fondi.
L’impressione è che il mondo della finanza stia un po’ tornando sui suoi passi.
Già Larry Fink ceo di Blackrock (che siede sul gradino più alto della classifica delle società finanziarie più importanti) dopo anni di proclami e lanci di strategie di investimento green, quest’anno aveva frenato sulla lotta ai combustibili fossili.
Secondo Fink le società di combustibili fossili costituiscono un tassello importante per il percorso verso un futuro decarbonizzato. “La transizione energetica non accadrà dall’oggi al domani e sarà necessario passare da sfumature di marrone (continuando a investire in aziende di fonti fossili) a sfumature di verde (investendo in aziende rispettose dell’ambiente)”.
ESG: avanti tutta, anzi, indietro tutta
L’accelerazione verso l’utilizzo di strategie ESG (cioè quelle che privilegiano il rispetto delle direttive Environmental, Social, Government) era stata promossa proprio da Larry Fink.
All’inizio del 2020 il CEO di Blackrock nella sua lettera annuale aveva proclamato la guerra alle emissioni lanciando la campagna per combattere il cambiamento climatico.
Il colosso del risparmio gestito avvertiva che avrebbe dismesso gli investimenti in società che ottenevano buona parte dei ricavi dalla produzione di combustibili fossili.
Di lì a poco sarebbe nata proprio l’iniziativa Net Zero Asset Manager da cui Vanguard ha appena preso le distanze.
A quanto pare la crisi energetica e il conflitto in Ucraina hanno rimescolato le carte tanto da imporre un deciso cambio di rotta da parte della stessa Blackrock.
In un recente comunicato la società informava esplicitamente che avrebbe tenuto un atteggiamento meno propositivo nella lotta al cambiamento climatico nel rispetto degli interessi finanziari a lungo termine dei propri clienti.
Adesso anche Vanguard si defila dalle iniziative finanziarie green.
Viene da pensare che la bella favola dell’ESG sia stata raccontata con il solo intento di attrarre i capitali degli investitori animati dai più nobili principi morali.
Una cosa è certa: dei 10 maggiori fondi ESG quotati a Wall Street, quest’anno 8 fanno peggio dell’indice S&P500 (che, ovviamente, comprende anche imprese “brown”).
L’immagine mostra le performance dell’anno riportate dai prodotti ESG (in verde) rispetto all S&P500 (in nero):



A questo punto la domanda che viene naturale porsi è: chi ha deciso di seguire logiche di investimento ESG cosa deve aspettarsi?
ESG: realtà o finzione?
Sembra ormai piuttosto evidente che i colossi del mondo della finanza abbiamo promosso lo sviluppo di strategie di investimenti sostenibili più per finalità commerciali che per reali convinzioni etiche.
Lo storytelling del surriscaldamento globale e del ruolo attivo dell’investitore nel contrastare il cambiamento climatico con scelte attive di investimento è, senza dubbio, convincente.
Sarebbe, tuttavia, profondamente approssimativo derubricare a semplici finzioni commerciali gli strumenti di investimento che seguono logiche ESG.
Ci sono studi approfonditi su archi temporali sufficientemente lunghi che dimostrano come integrare logiche ESG nelle proprie scelte di investimento non comporti penalizzazioni in termini di performance di medio lungo periodo.
Altre analisi dimostrano come l’utilizzo di strategie ESG contribuisca a contenere la rischiosità del portafoglio.
Certo in anni in cui il settore energetico tradizionale registra performance a doppia cifra, i fondi che hanno deciso di escludere le società legate ai combustibili fossili dal proprio radar inevitabilmente risulteranno penalizzati.
Quindi, per chi ha scelto di implementare strumenti ESG all’interno del portafoglio o per chi intende dare il proprio contributo attivo alla lotta al cambiamento climatico tramite le proprie scelte di investimento, in realtà cambia ben poco.
La sostenibilità in ambito finanziario rimane una scelta che darà i suoi frutti.
Conclusioni
Viviamo in un mondo mutevole e competitivo per il risparmio gestito
John Bogle
Una buona parte dell’industria finanziaria è molto brava ad assecondare le nostre convinzioni e anche le nostre apparenti esigenze. Peccato che molto spesso ciò che pensiamo sia giusto non sia esattamente ciò che è corretto per i nostri reali obiettivi di medio lungo termine.
La storia è piena di strategie di investimento nate per sfruttare le mode del momento: la new economy degli anni 2000, le aree dei paesi emergenti a più alto potenziale (celebre l’acronimo BRIC che raggruppa il Brasile la Russia l’India e la Cina), la saga degli strumenti Global Multi Asset Income (un unico strumento per tutte le esigenze). I risultati di molti prodotti di grido si sono poi rivelati deludenti.
Negli ultimi anni molte strategie green hanno attirato l’attenzione degli investitori.
Ora sembra che il tema della sostenibilità sia destinato a lasciare il posto alla tesi di un nuovo regime in cui tensioni geopolitiche e scarsità di risorse riporteranno in auge le energie tradizionali.
Quello dell’energia potrebbe essere il nuovo tema per continuare a catturare l’interesse dei risparmiatori.
Chi ha scelto di investire in strategie sostenibili diversificate dovrebbe curarsi poco di possibili cambi di rotta cercando, per quanto possibile, di evitare di soddisfare la propria vocazione green con strumenti eccessivamente specializzati (idrogeno, cibi del futuro ecc.).
Azioni e obbligazioni non sono come gli abiti e gli accessori: non possono essere fabbricati con una velocità tale da soddisfare la domanda. Così i loro prezzi salgono e scendono con la moda: i titoli azionari dei settori caldi salgono perché tutti corrono ad acquistarli (visto che sono di moda) e non per l’effettivo valore sottostante.
Terminata la moda, le quotazioni si sgonfiano deludendo chi ha inseguito la nuova tendenza del momento.
Il mondo della finanza non deve mutare ma evolvere e colui che vi investe con deve competere ma percorrere un tragitto accettando variazioni del percorso anche lontane da quelle in origine immaginate. Colui che si adatta sopravvive sempre, qui non conta arrivare primi al traguardo, ma raggiungere i singoli obiettivi. Buona domenica
“Colui che si adatta sopravvive sempre”.
Il concetto è assolutamente condivisibile. La mia interpretazione è che l’Asset Allocation (quindi il portafoglio scelto), deve essere in grado di adattarsi ai diversi scenari economici in cui l’investitore può imbattersi lungo il percorso (crescita economica, recessione, stagflazione).
Un portafoglio ben costruito deve, appunto, sopravvivere contenendo ribassi, riducendo i tempi di recupero e dando margine di manovra per una corretta attività di ribilanciamento.
Adattarsi per sopravvivere non deve significare modificare drasticamente l’impostazione scelta seguendo un’attività di market timing: le statistiche dimostrano che questo è il miglior modo per non sopravvivere.
Grazie per il tuo puntuale contributo Luca.