MEGLIO AZIONI O OBBLIGAZIONI

Nel lungo termine i rendimenti delle azioni superano quelli delle obbligazioni. Si tratta di una verità comunemente accettata.
Una recente ricerca sembra, al contrario, mettere in discussione questa certezza ormai consolidata: la sovraperformance delle azioni nel lunghissimo termine non sarebbe  poi così incontestabile.

In finanza non esistono mai verità assolute. Prendere in considerazione punti di vista distanti dalle proprie convinzioni può aiutare a stimolare riflessioni utili per prendere decisioni di investimento consapevoli.

In questo articolo analizzeremo la tesi di chi contesta la supremazia dei rendimenti azionari rispetto a quelli obbligazionari per capire che conclusioni trarne.

Stocks for the long run

Oggi un qualsiasi grafico di confronto rende evidente quale sia l’asset class da preferire nel lungo termine.
La supremazia dei rendimenti azionari rispetto a quelli obbligazionari è diventata verità ben prima che tutti avessimo a disposizione siti web e software di analisi grafica.
Molto prima che tutti avessimo a disposizione le meraviglie di internet, il professor Jeremy Siegel nel 1994 pubblica il libro Stocks for the long run”.

Il professore Siegel mette a disposizione di tutti il confronto tra asset class a partire dai primi anni del 1.800:

Il libro sancisce definitivamente la tesi che vede il mercato azionario come il luogo dove trovare i rendimenti a lungo termine migliori.
I rendimenti reali (cioè al netto dell’inflazione) delle azioni  sono di gran lunga superiori rispetto a quelli restituiti dalle altre asset class.
Ebbene, questa verità assoluta oggi viene messa in discussione.

La rivisitazione degli studi di Jeremy Siegel

Dall’uscita del testo sacro di Siegel, nel 1994, grazie all’avvento di internet, alla digitalizzazione di archivi cartacei e al processo tecnologico,  sono stati resi disponibili molti nuovi dati sull’andamento delle diverse asset class.

Visto che l’accuratezza dei dati è di fondamentale importanza per confutare o sostenere una tesi, Edward McQuarrie (ex professore universitario all’università di Santa Clara in California) si è preoccupato di elaborare questi nuovi dati per approfondire l’analisi di Siegel.

Per quanto riguarda le azioni McQuarrie ha rettificato i dati considerando un numero più elevato di titoli. In particolare le fonti di Siegel avevano escluso dall’analisi i titoli di aziende appartenenti al settore bancario e dei trasporti che furono travolti da pesanti fallimenti nella metà dell’ottocento.

Per quanto riguarda, invece, le obbligazioni, McQuarrie basa la sua analisi su un campione decisamente più ampio. Mentre Siegel aveva considerato le obbligazioni “prive di rischio” (cioè titoli di stato), la serie dei dati presa in esame comprende le obbligazioni societarie di altissima qualità.

Il suo studio è stato pubblicato nel 2021 e i dati sono gratuitamente consultabili a questo link utilizzando un browser Microsoft.

I risultati dello studio di McQuarrie

Il risultato dell’analisi è riassunto in questo grafico:

RENDIMENTI A LUNGO TERMINE AZIONI OBBLIGAZIONI
Fonte: edwardmcquaire.com

La prima conclusione è che il nuovo studio conferma la supremazia dei rendimenti azionari rispetto a quelli obbligazionari.
Tuttavia lo scarto tra le performance delle due asset class si riduce in modo consistente:
il rendimento annuo delle azioni scende dal 6,6% al 5,9%.
Quello delle obbligazioni, invece, sale dal 3,6% al 4,1% (ricordo che stiamo parlando di rendimenti reali, cioè al netto dell’inflazione).

L’aspetto più rilevante del nuovo studio

Visto che è piuttosto improbabile trovare un investitore con un orizzonte temporale pluricentenario (che è quello su cui si basano le analisi confrontate), l’aspetto più interessante riguarda il confronto dei rendimenti su periodi “più brevi”.

Se nel lunghissimo periodo le azioni offrono rendimenti più alti delle obbligazioni, questo non è necessariamente vero nel lungo periodo.
Questo grafico mostra l’andamento dei rendimenti  a 10 anni per azioni (in blu) e obbligazioni (in arancione):

L’andamento delle due linee è ravvicinato per la maggior parte del tempo. Questo significa che per lunghi periodi le performance di azioni e obbligazioni tendono a essere molto simili.
Il  periodo evidenziato, iniziato intorno alla seconda guerra mondiale e caratterizzato da un’evidente e lunga sovraperformance delle azioni, sembra quasi un’eccezione.

In ogni caso non sembra che l’analisi smentisca la convenienza ad investire in azioni:
se è vero che il periodo di sovraperformance evidenziato nel grafico non si è ripetuto nel corso della storia, è altrettanto vero che non ci sono casi in cui i rendimenti obbligazionari abbiano nettamente superato quelli azionari.
In altre parole le azioni hanno una dote preclusa alle obbligazioni: la capacità di offrire rendimenti sorprendentemente elevati.

Conclusioni

La diversificazione non solo diminuisce le probabilità di sbagliare, ma aumenta quelle di avere ragione

 Benjamin Graham

McQuarrie non è certo il primo a porsi interrogativi sulla capacità delle azioni di produrre i migliori rendimenti a lungo termine.

Anche il premio nobel Robert J Shiller  all’inizio degli anni 2000 nel suo libro “Euforia irrazionale” metteva in discussione l’assunto della sovraperformance azionaria affermando che L’evidenza che provi che le azioni supereranno sempre le obbligazioni nel lungo periodo semplicemente non esiste”.
L’affascinante saggio di Shiller fu pubblicato con un tempismo disarmante: di lì a poco scoppiò la bolla speculativa delle dot com che avviò un lungo bear market.

Quel che è certo è che non sappiamo  quanto generosi saranno i rendimenti azionari dei prossimi anni.
Nel dubbio la scelta più sensata resta quella di perseguire sempre un’ efficace diversificazione.
La ricerca proposta consiglia di considerare anche la sotto asset class “obbligazionario societario” (cd. “corporate”) che è quel segmento che ha consentito di ridurre il divario di rendimento con le azioni.

Il fatto che la differenza tra i rendimenti delle due asset class principali possa rimanere modesta per periodi relativamente lunghi porta a un’unica conclusione pratica: una corretta diversificazione diventa meno costosa (intesa come “sacrificio” in termini di rendimento) e più conveniente.

Fonti utilizzate:

SSRN;

edwardmqquire.com;

Verdad research.

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1 Comment

  1. …come sempre dalla teoria alla pratica la differenza è enorme, infatti per chi detiene risparmio gestito, sia attivo che passivo, gli straordinari risultati che nel lungo periodo mostrano gli indici, soprattutto nell’obbligazionario vengano deturpati dai seguenti fattori:
    . rolling sulla curva delle scadenze che oltre i costi di transazione, con i tassi in salita soprattutto, porta a pagare lo spread sui titoli liquidati che non viene recuperato con la scadenza naturale del titolo, ma deve essere compensato dalla bravura del gestore o dalla validità di strategia della selezione passiva a selezionare i nuovi inserimenti dei titoli con minore delta possibile rispetto all’obbligazione ceduta, movimenti di portafoglio imprescindibili per mantenere il benchmark dichiarato;
    . la forza devastante del COSTO composto delle commissioni di gestione;
    . i default fisiologici della diversificazione o situazioni non liquide anche recentemente emerse…
    . la gestione del cambio sulla valuta base dei titoli detenuti con costi diretti se HDG o indiretti di cambio tra quella base rispetto a quella del titolo, a molti sfugge che se anche la strategia è a base euro il gestore può o deve coprire il cambio anche di un singolo titolo detenuto con valuta diversa da quella base del fondo o etf; infatti nella composizione di portafoglio appare spesso la voce altro, anche per percentuali importanti 10/15% e sono derivati o titoli fuori asset strategico, ad esempio titoli di stato americani messi a garanzia su un derivato di copertura necessario e questo agire, in forma minore chiaramente, avviene anche nei fondi ad indice e non total return;
    . i costi fiscali;
    Mi fermo qua, inutile andare più in profondità, ma ci tengo a sottolineare che indipendentemente dal punto di vista del passato, da sempre e per sempre, se investo in azioni ho in mano asset che creano valore, mentre se investo in obbligazioni compro il debito di chi crea ricchezza o chi fornisce servizi per la società.
    Chiudi con un esempio pratico:
    1 portate ad incasso oggi un bot del 1980 da 50 milioni di lire ed incassate 26000€ oltre il rendimento nominale capitalizzato teorico , ma poi rapportiamo i differenti poteri di acquisto 1980 e 2023;
    2 invece se avevano investito, sempre nel 1980, 25000$ nel nasdaq, oggi abbiamo un valore reale che ha migliorato la nostra ricchezza;
    Buona domenica David

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