Ci stiamo approssimando alla chiusura della prima parte dell’anno con i mercati azionari che hanno avviato un deciso rally.
Siamo ancora ampiamente al di sotto dei massimi storici raggiunti all’inizio del 2022, ma il recupero messo a segno dagli indici è innegabile.
Innegabile è, purtroppo, anche l’incertezza sull’evoluzione dei mercati nei prossimi mesi e sulla reazione dei portafogli di investimento.
Possiamo considerare concluso il mercato ribassista iniziato nel 2022?
Quali sono i segnali per capire quando inizia un nuovo mercato rialzista?
In questo articolo condivideremo alcune analisi sulle recenti evoluzioni dei mercati finanziari per capire quali conclusioni trarre e cercare una risposta a queste domande.
Indice
Quando inizia un Bull Market
Tecnicamente quando il mercato azionario recupera il 20% dai minimi toccati nel corso di un bear market, inizia un nuovo mercato rialzista.
Qual è l’indice maggiormente attenzionato per rilevare il raggiungimento della soglia che determina l’inizio tanto di un bull market quanto di un bear market?
Come sempre, per la profondità di dati e per la sua importanza a livello globale, generalmente si fa riferimento all’ S&P500.



Questo grafico mostra, appunto, l’inizio del declino dell’S&P500, i minimi toccati nel corso del bear market e il recupero del 20% che ne è seguito.
Cosa accade dopo che il mercato azionario ha messo a segno un recupero del 20% dai precedenti minimi?
Secondo questa analisi di Ryan Detrick, capo direttore investimenti presso Carson Group (società di consulenza finanziaria statunitense), dopo un rialzo del 20% il mercato azionario esce ufficialmente dal bear market:



La tabella mostra i diversi mercati ribassisti, la data in cui è stata superata la soglia del 20% di recupero dai minimi precedenti e le successive performance a 1, 3 , 6 e 12 mesi.
Il parametro più interessante di questa tabella è quello evidenziato dalla colonna centrale (real bear lows) che conferma se il recupero del 20% è effettivamente coinciso con la fine del mercato ribassista.
Ci sono state soltanto tre eccezioni: due “falsi positivi” verificatisi durante lo scoppio della bolla tecnologica degli anni 2000 e uno durante la crisi finanziaria del 2008.
Per il resto dei casi, i rendimenti nei mesi successivi sono decisamente positivi.
I risultati medi, dunque, lasciano ben sperare.
Ho sempre trovato una grande utilità nello studio dei dati passati: il passato è l’unico strumento che abbiamo per comprendere il funzionamento dei mercati e capire cosa può riservarci il futuro.
Il problema con lo studio del passato è che concentrandosi soltanto sui dati medi, potremo giungere a conclusioni mediamente attendibili (cit).
Vale quindi la pena considerare con attenzione anche gli episodi più estremi:
Dot com e grande crisi finanziaria rappresentano sicuramente eventi eccezionali.
Del resto anche pandemia globale, lockdown, misure di sostegno economico e finanziario senza precedenti e un livello di inflazione mai visto negli ultimi 40 anni, sono eventi altrettanto eccezionali.
Vediamo quindi di concentrarci sull’eccezionalità dell’attuale contesto.
Nuovo mercato rialzista: i segnali da cogliere
Adesso cercheremo di capire quali siano i segnali a cui prestare attenzione e come inquadrarli in una situazione decisamente diversa dalla media.
Recessione inevitabile?
Una delle principali contestazioni alla tesi dell’inizio di un nuovo bull market viene da una vasta schiera di economisti e analisti che sostengono che una recessione sia inevitabile.
Perché?
Per riconquistare il controllo dell’inflazione le banche centrali hanno dato il via al ciclo di rialzo dei tassi più rapido e massiccio degli ultimi 40 anni:



Questo grafico mette a confronto i diversi cicli di rialzi dei tassi della FED a partire dagli anni 80.
Quello attuale è evidenziato in giallo: abbiamo raggiunto il livello più alto nel periodo di tempo più breve.
La storia dice che, in passato, strette del genere hanno consentito di riportare l’inflazione sotto controllo ma il prezzo da pagare è stato quello di una recessione economica: imprese e consumatori schiacciati dal rialzo del costo dei finanziamenti (provocato dal rialzo dei tassi) sono costretti a ridurre investimenti e consumi.
Questa contrazione si traduce in minori utili per le aziende (a seguito della riduzione delle vendite) e aumento della disoccupazione (le imprese reagiscono licenziando il personale per contenere i costi).
Se in passato è sempre andata così, dobbiamo considerare l’eccezionalità dell’attuale contesto:
le recessioni tendono a verificarsi perché famiglie e imprese si trovano in una condizione finanziaria di fragilità che viene messa a nudo dal ciclo di rialzi della FED:
quando si è troppo indebitati rispetto alla propria capacità di generare reddito si é costretti a tagliare i consumi (se si tratta di un consumatore) o investimenti (se si tratta di un’impresa).
Questa reazione scatena la recessione.
Oggi, a dire il vero, il quadro sembra essere diverso perché i bilanci di imprese e famiglie sono piuttosto solidi: il risparmio delle famiglie è sopra la media mentre l’indebitamento delle imprese è relativamente più basso rispetto al passato.
E, soprattutto, bisogna ricordare che i mercati finanziari non sono l’economia :
anche se avessimo certezza dell’arrivo di una recessione non potremo mai prevedere come potrebbero reagire i mercati.
Il “caso tedesco” è degno di nota:



Dopo due trimestri di crescita negativa la Germania entra ufficialmente in recessione (immagine in alto).
Nonostante ciò, il mercato azionario tedesco mette a segno un recupero di oltre il 30% rispetto ai precedenti minimi (immagine in basso).
Un rialzo effimero
Uno dei dubbi più profondi riguardo alla sostenibilità dell’attuale rialzo riguarda lo scarso coinvolgimento di titoli e settori.
Il recupero è stato trainato da una manciata di titoli: 7 megacap hanno preso letteralmente gli indici per mano accompagnandoli verso l’alto:



Il grafico mostra la performance messa a segno dalle 7 megacap (in blu), quella degli altri 497 titoli dell’S&P500 (in celeste) e quella dell’intero indice (in grigio)
Questa scarsa partecipazione ai rialzi è un segnale di allerta in vista di una futura debolezza, oppure le aziende più piccole si uniranno in un secondo momento all’avanzata delle megacap?
Come sempre accade in finanza, non esiste una risposta certa e univoca: talvolta si tratta di un segnale di debolezza, altre volte niente affatto.
Di certo, come dimostra un recente studio accademico, la scarsa partecipazione non è una novità per i mercati rialzisti.
Poca partecipazione ai rialzi: questione strutturale?
Una larga maggioranza di analisti e gestori propende per la tesi che un rialzo con poca partecipazione rende il mercato estremamente fragile.
Se razionalmente questa considerazione appare assolutamente ragionevole, restano da considerare due aspetti fondamentali:
- I mercati finanziari sono, per definizione, controintuitivi.
Molto spesso ciò che ha logica non trova riscontro nei movimenti dei mercati; - Il mondo sociale ed economico col tempo cambia e, di conseguenza, la sua rappresentazione nei mercati finanziari.
Il “protagonismo” di pochi titoli è, in un certo senso, figlio dei tempi che stiamo vivendo.
Vediamo più in dettaglio cosa significa.
Prima di procedere dobbiamo comprendere la differenza tra S&P500 cap weighted e S&P500 equal weighted.
L’S&P500 cap weighted è l’indice azionario del mercato statunitense così come lo definiamo abitualmente: ogni singola azione ha un peso proporzionale alla sua importanza.
L’importanza viene misurata dalla capitalizzazione di mercato, cioè il numero di azioni per il prezzo di mercato.
Nell’S&P500 cap weighted Apple rappresenta il 7% dell’indice Microsoft il 6% Nvidia il 3% e così via fino ad arrivare alle società più piccole che rappresentano una porzione nettamente inferiore.
Nell’S&P500 equal weighted, invece, ognuna delle 500 azioni che compone l’indice ha lo stesso peso (0,20%) indipendentemente dalla sua importanza.
Adesso che abbiamo compreso la differenza tra cap weighted e equal weighted andiamo ad analizzare un grafico che può esserci di grande supporto nell’interpretare le dinamiche del mercato:



Il grafico mostra l’andamento della forza relativa dell’S&P500 equal weighted rispetto all’S&P500 cap weighted:
quando il grafico sale significa che la performance dell’S&P500 equal weighted è migliore di quella del suo omologo cap weighted.
In altre parole quando il grafico sale significa che un maggior numero di titoli sta contribuendo ai rialzi.
Viceversa quando il grafico scende significa che la performance dell’S&P500 cap weighted è migliore di quella dell’indice equal weighted, cioè i rialzi sono guidati da un numero più ristretto di titoli.
Osserviamo ancora una volta il grafico ponendo attenzione anche allo sfondo:
le aree gialle contraddistinguono i mercati rialzisti, le aree rosa mercati ribassisti.
Vediamo che ci sono vaste aree gialle (mercati rialzisti) in cui il grafico scende (indicando una diminuzione della partecipazione ai rialzi).
Dunque il passato ci dice che poca partecipazione ai rialzi è comunque compatibile con un mercato rialzista.
Questo fenomeno è spiegabile con la rotazione settoriale verso la tecnologia che assume un ruolo sempre più importante per lo sviluppo e per la crescita economica.
Scarsa partecipazione ai rialzi, quindi, non significa necessariamente che il mercato sia destinato a scendere
In ogni caso, nelle ultime settimane la base che sta contribuendo ad alimentare i rialzi si è sensibilmente allargata, vedendo un significativo contributo delle aziende a piccola capitalizzazione (small cap).



Solo un bear market rally
I bear market sono puntualmente sospesi da recuperi effimeri che costituiscono soltanto un’interruzione più o meno breve del trend ribassista.
Sono i cosiddetti bear market rally.
Si parla anche di bull trap perché queste interruzioni attirano investitori speranzosi che cadono nella trappola che li trascina in nuovi ribassi.
Questa grafica mette a confronto l’attuale bear market (in bianco) con i precedenti.
Quello in corso sembra un rialzo decisamente più prolungato per essere considerato un bear market rally:



Scetticismo generale
Uno degli aspetti che spesso si tende a sottovalutare nell’interpretazione delle dinamiche di mercato riguarda il posizionamento degli investitori.
Con questo termine si fa riferimento a quanto i partecipanti al mercato siano effettivamente investiti in azioni.
Il posizionamento ha, quindi, a che fare con l’umore degli investitori: quanto più gli investitori sono ottimisti sul futuro degli indici, tanto più elevata sarà la loro esposizione azionaria.
Chiaramente vale anche il contrario.
Perché è importante?
Un mercato dove regna l’ottimismo può essere più vulnerabile perché un inaspettato cambio di umore (innescato da un peggioramento dello scenario) può dare il via alle vendite creando pressione sui prezzi: se molti vendono e pochi comprano, i prezzi sono destinati a scendere.
Viceversa, se gli investitori sono pessimisti diminuisce il numero di potenziali venditori: se molti hanno già venduto e sono già usciti dal mercato, la pressione sui prezzi derivante da ulteriori vendite sarà ridotta. Mentre aumenta il potenziale di chi, dopo esser tornato ottimista, deciderà di ricomprare: ecco che se molti acquistano e pochi vendono i prezzi salgono.
Nel corso degli ultimi mesi si è spesso sentito dire che tutti sono pessimisti ma nessuno ha ancora venduto:
per il momento sembra non essere ancora arrivata la fase della cosiddetta “capitolazione” in cui gli investitori privati, stanchi degli scarsi risultati o estenuati dai ribassi, vendono le proprie azioni dando il via alla fase finale del bear market.
Quindi il buon senso suggerirebbe di mantenere elevato lo stato di allerta fino a quando i piccoli investitori non avranno capitolato.
Giustissimo!
Tuttavia, se guardiamo il posizionamento dei grandi investitori (i gestori di fondi o asset manager), il quadro è decisamente diverso:
il progressivo peggioramento delle condizioni generali e il lento ma continuo ribasso degli indici ha dato ai gestori professionisti il tempo per uscire dai mercati azionari (non necessariamente evitando i ribassi) e aspettare il momento più opportuno per rientrare.
Secondo il recente sondaggio di Bank Of America gli asset manager continuano a preferire i bond rispetto alle azioni:
Questo grafico mostra l’evoluzione nel tempo delle preferenze dei gestori di fondi: le colonne nella parte bassa indicano un sovrappeso delle azioni rispetto ai bond. Viceversa le colonne nella parte alta indicano che gli asset manager sono sovrappesati di obbligazioni rispetto alle azioni.
La preferenza per i bond ha raggiunto livelli che non vedevamo dalla grande crisi finanziaria.
Ci sono poi i fondi speculativi che piazzano “scommesse” sul rialzo o sul ribasso dei mercati.
In questo momento c’è una netta predominanza di scommesse ribassiste:



Il grafico mostra il cambiamento nel tempo delle preferenze degli speculatori. Le aree gialle indicano la differenza tra scommesse rialziste e ribassiste: aree gialle nella parte superiore del grafico equivalgono a una prevalenza di rialzisti mentre quando le aree gialle si concentrano nella parte bassa, prevalgono i ribassisti.
Asset manager e Hedge Fund sono da tempo decisamente pessimisti riguardo alle sorti dei mercati azionari, non a caso quello attuale viene definito il rally più odiato della storia.
Vale la pena ricordare che i gestori di fondi competono gli uni con gli altri nell’inseguimento delle performance migliori.
In questo momento, visto il rendimento offerto dai bond e l’incertezza sul futuro dell’economia, sono decisamente scarichi di azioni. Tuttavia non possono permettersi di fare peggio dei concorrenti.
Una recessione che tarda ad arrivare potrebbe alimentare lo scenario di un soft landing dell’economia che riporterebbe flussi sulle azioni dando nuova forza al mercato.
E’ iniziato un nuovo Bull Market?
Dunque stiamo assistendo alla nascita di un nuovo bull market?
Ovviamente è impossibile dare una risposta, ma nei paragrafi precedenti abbiamo visto quanto siano contestabili le più ragionevoli convinzioni di chi crede che i mercati non possano che continuare a scendere.
La prospettiva di un’imminente recessione (che continua a rimanere imminente da quasi un anno) ci ha resi refrattari a qualsiasi evoluzione positiva per economia e mercati finanziari.
La maggior parte degli investitori è convinta che una recessione rappresenti una calamità per i portafogli.
Anche se dovessimo confrontarci con una recessione non sapremo mai con certezza quale sarà la reazione dei mercati:
il passato è l’unico strumento di studio che abbiamo, ma non possiamo fare paragoni schematici con ciò che è già successo perché non esistono mai mercati rialzisti e mercati ribassisti perfettamente uguali.
Due cose sono certe in questo momento:
- anche se siamo entrati in un nuovo mercato rialzista, ci troveremo più o meno presto a fare i conti con una correzione che alimenterà nuovi dubbi;
- qualunque cosa succederà sembrerà ovvia con il senno di poi.
Conclusioni
L’economia dipende dagli economisti all’incirca quanto il tempo dipende dai meteorologi.
Jean-Paul Kauffmann
Qualcuno ha detto che ci sono tre tipi di bugie: quelle grandi, quelle piccole e le statistiche.
Questo vale tanto per le raccolte di dati a sostegno di una recessione e di un ulteriore declino dei mercati finanziari quanto per quelle che supportano la tesi dell’inizio di un nuovo mercato rialzista.
In finanza non esistono regole universalmente valide.
Sulla base dell’interpretazione dei dati passati, delle notizie e delle analisi vengono disegnati scenari che muovono il mercato come un pendolo che oscilla tra pessimismo ingiustificato e ottimismo insostenibile.
In realtà nell’oscillazione tra pessimismo e ottimismo c’è spesso una prolungata fase intermedia in cui prendono corpo i trend rialzisti: i guadagni non si materializzano in modo repentino e sensazionale ma si tratta, piuttosto, di un noioso movimento graduale dove non c’è una grande attività da fare.
Anche se dovessimo esserci lasciati alle spalle il mercato ribassista del 2022, dovremo continuare a convivere con l’incertezza e con il dubbio che ci accompagnerà lungo tutto il prossimo bull market.
Il tema della gestione dell’incertezza è stato trattato nel webinar dedicato alla costruzione Lazy Portfolio organizzato da Ascofind in cui sono intervenuto come relatore. Clicca sull’immagine per guardare la registrazione dell’evento:
…personalmente più che un dato soggettivo +20% io mi concentro sul dato oggettivo del ritorno alla media di crescita dell’indice di riferimento, questo altresì permette di acclarare le code che rendono spurio il rendimento espresso nel prezzo di tale momento. Infine non dimentichiamo che i mercati sono si influenzati si da fattori endogeni, ma altrettanto da quelli esogeni… buona domenica David e sempre il NOSTRO grazie!