Nel corso degli anni sono stati pubblicati svariati studi accademici sul tema della tanto ambita rendita passiva.
Le analisi più interessanti (e attendibili) si concentrano sulla messa a frutto di un capitale attraverso l’investimento nei mercati finanziari tradizionali.
Con una serie di accorgimenti (tutt’altro che banali) sarà possibile impostare un “tasso di prelevamento sostenibile” sul capitale investito che andrà a costituire la rendita passiva.
La crescita del capitale investito andrà a ricostruire quanto prelevato, consentendo di mantenere intatto, nel tempo, il livello del capitale e di rivalutare il prelevamento al tasso di inflazione garantendo il potere di acquisto (ne abbiamo parlato dettagliatamente in questo articolo sul “tasso di prelevamento perpetuo”).
La tesi a cui viene dato maggior credito è quella che individua nel 4% (rivalutato per l’inflazione) il tasso di prelevamento ideale, detta appunto “regola del 4%” (che abbiamo analizzato ipotizzando strategie migliorative in questo post).
Una delle variabili più importanti da considerare quando si pianifica una strategia per alimentare una rendita passiva è il cosiddetto rischio della sequenza dei rendimenti.
Con questo termine si fa riferimento al fatto che una sequenza di rendimenti sfavorevoli, seppur mediamente generosi, può seriamente compromettere l’efficacia di un piano finanziario anche ben congegnato.
In questo articolo tratteremo il problema della sequenza dei rendimenti e cercheremo di individuare le possibili soluzioni.
Indice
La polemica sui rendimenti medi
Quando si pensa a costruire un portafoglio finanziario per alimentare una rendita passiva, l’obiettivo naturale dovrebbe essere quello di massimizzarne la resa in modo da riuscire a ottenere quanto più possibile in termini di rendita periodica.
Questa è proprio la linea di pensiero sostenuta da Dave Ramsey consulente finanziario, autore e conduttore radiofonico negli Stati Uniti.
Ramsey ha raggiunto la popolarità grazie ai suoi consigli di finanza personale dedicati, soprattutto, alla riduzione dei debiti.
Recentemente, nel corso di una puntata della sua trasmissione, ha espresso tutto il suo disappunto per tutte le teorie accademiche sulla regola del 4% e sul mix ottimale di asset class per erogare una rendita periodica.
La soluzione sarebbe assolutamente molto più semplice e molto più redditizia:
l’S&P500 cresce a una media del 12% annuo circa, l’inflazione media è stata del 4% circa.
Sottraendo l’inflazione dal rendimento si arriva a un 8% che, quindi, equivarrebbe al tasso di prelevamento ideale.
Fondamentalmente Ramsey si propone di dare speranza alle persone che cercano di raggiungere l’indipendenza finanziaria attraverso il risparmio e l’investimento, proponendo tassi di prelevamento più alti (che, quindi, riducono l’ammontare di capitale necessario per ottenere una rendita adeguata).
Il problema è che quando si parla di mercati reali con soldi reali nessun investitore riceve la media esatta: i rendimenti non sono mai costanti e si muovono molto in alto e, ahimè, molto in basso intorno a una media storica.
Questo significa che un forte calo del mercato azionario, e quindi del valore del portafoglio, negli anni iniziali di messa a punto della strategia ne può compromettere drammaticamente l’efficacia.
Il problema della sequenza dei rendimenti
Seguire l’esempio proposto da Ramsey può rivelarsi molto pericoloso per chi intende utilizzare un capitale per alimentare una rendita periodica.
Prendendo ancora come esempio l’S&P500 (cioè quello che è stato il mercato azionario più generoso nella storia finanziaria moderna), immaginiamo di essere nel 1973 e di voler utilizzare il mercato azionario statunitense per alimentare la nostra rendita passiva.
Immaginiamo anche di sapere che per i successivi anni il rendimento medio dell’S&P500 sarà dell’11,5% e l’inflazione media sarà, invece, pari al 4,5% circa. Sulla base di queste informazioni decidiamo di impostare un tasso di prelevamento pari al 7% (cioè il rendimento medio – l’inflazione media).
Questo è quello che ci aspetterà negli anni successivi: il grafico mostra la sequenza con cui il mercato ha restituito i rendimenti annui (rappresentati dagli istogrammi blu e rossi) intorno alla media dell’11,5% (rappresentata dalla linea tratteggiata nera):


Come si sarebbe comportata la nostra strategia di prelevamento basata sui “rendimenti medi” al netto dell’inflazione?
Questa è l’evoluzione di un portafoglio azionario da 1 milione (100% S&P500) su cui è stato impostato un tasso di prelevamento del 7% (adeguato all’inflazione) nel periodo preso in esame (dati in dollari statunitensi):


Da un punto di vista pratico, la rendita perpetua è l’esatto opposto del piano di accumulo: mentre nel piano di accumulo mercati al ribasso nella fase iniziale agevolano il successo della strategia, nella rendita perpetua vale il contrario.
Quando si attinge da un portafoglio che decresce per effetto dei ribassi dei mercati, si prosciugano risorse in grado di generare crescita nel corso dei mercati rialzisti futuri.
Quando la fase di declino del portafoglio (e dei mercati) è repentina o dura a lungo, senza le opportune contromisure il portafoglio non riuscirà più a recuperare.
E’ quello che è accaduto nel caso preso in esame: due anni di ribassi a doppia cifra nella fase iniziale, hanno compromesso il piano, nonostante i rendimenti generosi degli anni successivi.
Portafogli bilanciati: l’impatto della sequenza dei rendimenti
Nel paragrafo precedente abbiamo preso in esame l’ipotesi di un portafoglio esclusivamente azionario per analizzare l’impatto della sequenza dei rendimenti su una strategia di prelevamento perpetuo.
Vediamo adesso come si sarebbe comportato un portafoglio diversificato tra azioni e obbligazioni prendendo come riferimento il portafoglio classico 60/40 .
Nella simulazione imposteremo il tasso di prelevamento seguendo la teoria più diffusa: la regola del 4%, che prevede un ritiro del 4% annuo puntualmente rivalutato per l’inflazione.
Utilizzeremo un portafoglio pari a un milione, investito per il 60% in azioni statunitensi, e per il 40% titoli di stato statunitensi (dati in dollari statunitensi).
Gli anni presi in esame vanno dal 1966 al 1996 periodo in cui il portafoglio 60/40 ha restituito un rendimento medio del 10,5% annuo circa.
I rendimenti annui sono rappresentati dagli istogrammi verdi e rossi, mentre la linea blu mostra l’evoluzione del capitale nel tempo (i valori sono riportati sulla scala di sinistra) . La linea grigia indica, infine, l’andamento dell’inflazione nel tempo (i valori sono riportati sulla scala di destra):


Nonostante la generosità del rendimento medio, il capitale si sarebbe esaurito nel giro di 30 anni a causa della sequenza sfavorevole dei rendimenti oltre che del tasso di inflazione: quando l’inflazione sale, un portafoglio bilanciato tradizionale (composto da azioni e obbligazioni) soffre per il venir meno del contributo difensivo delle obbligazioni (ne parlo in questo articolo): le esigenze di prelevamento aumentano per effetto del carovita proprio quando il portafoglio riporta rendimenti negativi.
Ancora una volta l’aumento dei prelievi nelle fasi di ribasso sottrae capitale per cogliere la successiva ripresa.
La casualità con cui i mercati finanziari decidono di restituire i rendimenti annui intorno a un rendimento medio può giocare un ruolo determinante per il successo di un piano finanziario.
Utilizzando la stessa strategia (portafoglio 60/40) e lo stesso tasso di prelevamento (4% adeguato all’inflazione) ma invertendo l’ordine dei rendimenti negli anni, il risultato cambia drasticamente in meglio.
Questo grafico mostra ancora l’evoluzione del portafoglio (in blu), l’andamento dell’inflazione (in grigio) e i rendimenti annui (in verde e in rosso) con la sequenza invertita:


Lo stesso rendimento medio del 10,5% realizzato con una sequenza favorevole, non solo avrebbe consentito di preservare il capitale ma addirittura il milione iniziale sarebbe cresciuto in modo esponenziale fino a raggiungere la cifra di 17 milioni.
In questo caso la strategia ha beneficiato dei rendimenti elevati degli anni iniziali che hanno consentito al portafoglio di crescere e raggiungere una “soglia di sicurezza”, che ha permesso di assorbire l’impatto dei ribassi subiti negli anni finali.
Larry Swedroe, autore finanziario e ideatore del Larry Portfolio, in un’analisi risalente a qualche anno fa, mette in guardia dal rischio di sequenza dei rendimenti evidenziando quanto, talvolta, fortuna e casualità siano determinanti nel successo di una strategia.
A questo punto la domanda è: come strutturare un portafoglio in modo da non andare in rovina nel caso la dea bendata decida di non assisterci?
Come gestire il rischio di sequenza dei rendimenti
Negli investimenti, come nella vita reale, non esiste un modo per eliminare i rischi.
Esistono tuttavia delle strategie per gestirli e per convivere in modo sereno con l’incertezza che caratterizza il futuro dei mercati (e della vita).
Vediamo, quindi, quali possono essere alcuni accorgimenti per evitare che una sequenza dei rendimenti avversa faccia deragliare una strategia di prelevamento perpetuo.
Prevedere una riserva di liquidità
Una prima accortezza è quella di prevedere, in fase di pianificazione, una congrua riserva di liquidità come “margine di sicurezza” per coprire una parte dei prelevamenti in caso di sequenza dei rendimenti avversa.
L’idea è quella di poter disporre di una somma prontamente utilizzabile evitando di sottrarre risorse al portafoglio in una fase di mercato avversa.
Un’indicazione generale (che, chiaramente, andrà personalizzata in base alle esigenze individuali) è quella di destinare come riserva una cifra pari a 24 mensilità di spese (e quindi di prelevamenti) da coprire.
Si potrà valutare di investire una parte della riserva così determinata in una strategia bond laddering in modo da massimizzarne il rendimento: un’adeguata pianificazione delle scadenze consentirà di far fronte alle proprie esigenze di prelevamento.
Aumentare la diversificazione
Uno dei fattori principali da considerare nella costruzione di un portafoglio per alimentare una rendita passiva è l’inflazione.
Il rialzo dell’inflazione impone di aumentare i prelevamenti (adeguando, appunto il tasso di prelevamento al carovita) per preservare il potere di acquisto.
Il punto è che l’esigenza di prelevamento aumenta proprio nei contesti in cui la tradizionale combinazione azioni/obbligazioni tende a soffrire di più: in periodi di inflazione elevata (e volatile) la correlazione tra le due principali asset class diventa positiva il che significa che scendono entrambe.
Il rischio è quindi quello di dover aumentare i prelevamenti proprio nel momento meno opportuno.
Asset reali come materie prime e oro possono contribuire a mitigare questo rischio.
Sebbene si tratti di asset class non idonee a generare reddito (materie prime e oro non distribuiscono né cedole né dividendi), gli asset reali rappresentano una buona fonte di diversificazione nei contesti di elevata inflazione.
Quindi chi intende pianificare una strategia per alimentare una rendita, dovrebbe valutare un’adeguata esposizione a queste asset class (i Reit sono l’unico asset reale che genera dividendi. Il suo andamento tende tuttavia a essere abbastanza correlato a quello delle azioni).
Considerare sempre la peggiore delle ipotesi
Nei prossimi anni scopriremo che ci sarà un portafoglio ideale che, col senno di poi, avremmo voluto avere. Il problema è che oggi non abbiamo alcuna indicazione su quale possa essere questo portafoglio.
Con questa fondamentale consapevolezza, la cosa più saggia da fare è diversificare nel modo più opportuno possibile. L’obiettivo non è quello di trovare il megatrend più dirompente ma, piuttosto, quello di evitare di aver posto fiducia in un portafoglio concentrato sulle asset class peggiori.
Come si trova una combinazione ideale di asset class?
Assemblare una combinazione ideale di asset class presuppone la conoscenza del funzionamento di ogni strumento nelle diverse fasi del ciclo economico e la consapevolezza del ruolo che svolge all’interno del portafoglio.
Una volta progettato un portafoglio questo dovrà essere testato per valutarne l’effettiva efficacia nel tempo: il passato non serve a prevedere il futuro, ma può aiutare a capire cosa possiamo aspettarci. Questo vale a patto che si esca dalla gabbia dei “rendimenti medi” per considerare come potrebbe ragionevolmente comportarsi un portafoglio negli scenari peggiori il cosiddetto “worst case”.
Lo strumento utilizzabile è un simulatore Monte Carlo che, partendo da un portafoglio specifico, considera un’ampia gamma di risultati possibili attraverso un processo di simulazione casuale.
Nel nostro caso si tratta di testare se un determinato portafoglio possa essere in grado di sostenere una determinata soglia di prelevamenti.
Effettuando una simulazione Monte Carlo su un portafoglio 60/40 tradizionale, il il 4% rivalutato per l’inflazione sarebbe stato, mediamente, un tasso di prelevamento sostenibile che avrebbe consentito una probabilità di successo del 92% (dati in dollari):


Il grafico rappresenta l’evoluzione della probabilità di successo (rappresentata sull’asse verticale) per diversi anni di durata della strategia. In altre parole con che probabilità il portafoglio sarebbe stato in grado di sostenere un prelevamento del 4% per un periodo da 1 a 30 anni.
Ma cosa sarebbe accaduto se la strategia avesse dovuto confrontarsi con una sequenza dei rendimenti sfavorevole?
Questa simulazione mostra la percentuale di successo nel caso in cui i risultati peggiori si fossero presentati proprio nei primi anni di messa a punto della strategia (dati in dollari):


La percentuale di successo per un periodo di 30 anni crolla drammaticamente al 75%.
Modificando la composizione del portafoglio inserendo oro e diversificando l’esposizione azionaria la strategia avrebbe funzionato molto meglio anche in caso di sequenza dei rendimenti sfavorevole (dati in dollari):


Nonostante gli anni iniziali di avvio del prelevamento perpetuo siano stati i peggiori in termine di risultati, il portafoglio sarebbe stato in grado di mantenere un prelevamento del 4% su un periodo trentennale nel 96% dei casi.
Ovviamente i backtest non sono mai il futuro ma, se correttamente utilizzati, rimangono uno strumento utile per costruire strategie efficaci (in questo post approfondisco il tema delle simulazioni fornendo indicazioni per effettuare backtest realistici).
Chiaramente, a questo punto, la domanda è: esiste un modo per aumentare in modo realistico le probabilità di successo?
Seguire strategie di prelevamento flessibili
Per quanto possa essere avveduta, ricercata e corretta, un’intelligente pianificazione deve necessariamente confrontarsi con un futuro incerto.
L’incertezza può essere gestita utilizzando un approccio flessibile che preveda delle modifiche al tasso di prelevamento in funzione delle condizioni di mercato.
Il concetto di fondo è che, dopo una sequenza di rendimenti favorevole, il portafoglio potrà aver raggiunto una “soglia di sicurezza” tale da garantire prelevamenti più elevati.
Viceversa in caso di mercati avversi, sarà opportuno ridurre temporaneamente la soglia del prelevamento.
Questo tipo di accortezza consentirà di impostare anche tassi di prelevamento più elevati a patto, ovviamente, si sia disposti a ridurli temporaneamente al manifestarsi di rendimenti deludenti.
Ad esempio un tasso di prelevamento iniziale del 5% potrà essere aumentato fino al 6% quando il saldo del portafoglio incrementa del 20% rispetto al suo valore iniziale (al netto dei prelevamenti).
Allo stesso tempo si potrà prevedere di ridurre il tasso di prelevamento fino a un minimo del 3,5% quando, viceversa, il saldo del portafoglio scenderà del 10% rispetto al suo valore iniziale (sempre al netto dei prelevamenti).
Un approccio del genere avrebbe consentito di mantenere il valore reale del portafoglio e garantire un’adeguata rendita passiva.
Questo grafico mostra l’evoluzione di un portafoglio diversificato (azioni, obbligazioni, oro e asset reali – dati in euro – ) su cui è stata applicata la strategia flessibile proposta (periodo 1970 – 2022).
Ogni linea verde mostra l’andamento del portafoglio (al netto dei prelevamenti) nel tempo in funzione dell’anno di partenza (ci sono tante linee quanti sono gli anni dal 1970 al 2021).
L’asse verticale indica i livelli di capitale raggiunti, l’asse orizzontale gli anni della durata della simulazione per ogni portafoglio: una strategia attivata nel 1970 è stata testata per un periodo di 52 anni (che intercorrono dal 1970 al 2022) una strategia iniziata nel 2010 è stata testata per un periodo di 12 anni (che intercorrono dal 2010 al 2022):


Quello che emerge è che variando il tasso di prelevamento in funzione dell’andamento del portafoglio, la strategia ha sempre funzionato.
Conclusioni
Pat Riley
Se ti affidi al caso all’improvviso smetti di avere fortuna
Istintivamente siamo portati a sviluppare le nostre riflessioni intorno ai risultati medi: tempi medi di percorrenza, crescita media delle retribuzioni, età media e, immancabilmente, rendimenti medi dei mercati finanziari.
Nella vita reale i risultati possono discostarsi molto dalle medie.
I mercati finanziari non fanno eccezione: investire sulla base dei rendimenti medi non porterà necessariamente ad avere risultati medi.
Soprattutto per chi intende pianificare una strategia di prelevamento perpetuo è fondamentale considerare il rischio della sequenza dei rendimenti per evitare di sopravvivere ai propri soldi.
L’approssimazione porterà, molto probabilmente, a “bruciare” il capitale: attingere da un proprio portafoglio mentre questo sta perdendo valore, sottrae capitale per sfruttare le fasi di recupero e la crescita successiva.
La questione della sequenza dei rendimenti, in realtà, dovrebbe essere considerata dagli investitori che si trovano nella fase di accumulo e intendono far crescere il capitale nel tempo (senza avere l’esigenza di beneficiare di una rendita nell’immediato).
Un portafoglio che ambisce esclusivamente alla massimizzazione del rendimento sarà più esposto al rischio di sequenza dei rendimenti sfavorevole in quanto più volatile (cioè soggetto a maggiori oscillazioni). Maggior volatilità significa maggior dispersione dei rendimenti intorno alla media con maggior probabilità di rendimenti anche pesantemente negativi.
Immancabilmente ci si accorge, troppo tardi, di essere investitori “a lungo termine” che non sono in grado di tollerare risultati “troppo” negativi a breve termine.
Dunque, piuttosto che un ottimo portafoglio che non si è in grado di gestire, meglio scegliere una strategia più conservativa con cui si riesca a convivere serenamente.
Leggi anche:
Rendita passiva: cosa è e come crearla realmente;
Cedole e dividendi: rischi e soluzioni per costruire una rendita passiva;
La strada giusta per trasformare i soldi in felicità;
I dati che devi conoscere per costruire la tua rendita passiva.
…fondamentale poi il “campo da gioco” a livello fiscale, infatti i prelievi sono lautamente tassati come i rendimenti e i relativi costi di transazione necessari! Esistono comunque strumenti che possano attenuare questi due fattori, raramente presi in considerazione ex ante, ma subiti al momento di attuazione della strategia “prelievo”. Qui entra in gioco la maestria dei Professionisti come il grande David… complimenti 🎈
Giustissimo Luca: le simulazioni proposte non tengono in considerazione il prelievo fiscale. Il tuo intervento, tra l’altro, mi consente di fare un’importante precisazione: nel momento in cui si effettua un prelievo da un portafoglio che riporta una plusvalenza, la tassazione viene applicata solo sulla quota di plusvalenza prelevata.
Ad esempio ipotizziamo di aver investito € 100.000 in un etf azionario come segue:
– Nr. quote acquistate: 1.000, prezzo singola quota: € 100 – totale investito € 100.000 (1000 quote x € 100).
Ipotizziamo che il prezzo di ogni singola quota salga a € 110: Il controvalore del portafoglio salirà a € 110.000 (1000 quote x € 110).
Nel momento in cui decido di prelevare € 10.000, la tassazione non sarà calcolata sull’intero importo ma soltanto sulla parte proporzionale di guadagno:
Per realizzare € 10.000 dovrò vendere 91 quote (91 x € 110 = € 10.010)
Su ogni quota ho realizzato un guadagno di € 10 (pari al nuovo prezzo di € 110 – il prezzo di acquisto di € 100).
Dunque il guadagno totale prelevato ammonta a € 910 (cioè €10 di guadagno unitario x 91 quote vendute).
La tassazione del 26% sarà quindi calcolata su € 910 (pari a € 236) e non su € 10.000 (cioè non € 2.600).
Questo era il tema dell’ultimo quiz proposto.
Buongiorno grazie per l’ottimo articolo, come sempre del resto.
Volevo solo chiedere una cosa che non mi torna: com’ è possibile che nel grafico del ptf 60/40 sequenza sfavorevole il capitale che era sopravvissuto bene agli anni 70 ( nel 1987 era circa 900000$) si sia azzerato nel’96 nonostante una sfilza di rendimenti positivi? Forse a causa dei prelievi aggiornati all’ inflazione? grazie
Esatto Davide: è l’effetto combinato delle due variabili inflazione/rendimenti che fa naufragare la strategia.
Considera che il grafico dell’evoluzione ragione in termini nominali mentre il prelevamento annuo viene effettuato in termini reali: si parte con un prelevamento di $ 40.000 dollari nel 1966 che è lievitato a € 140.000 nel 1987 proprio per effetto del progressivo adeguamento all’inflazione. In altre parole il capitale si è mantenuto relativamente bene in termini “nominali” ma non in termini reali proprio per la sequenza dei rendimenti sfavorevole.
Per chiarire meglio la dinamica ti suggerisco di consultare la tabella di Larry Swedroe a cui rimanda il link del grafico: mostra il livello del capitale, il tasso di inflazione e l’importo dei prelevamenti.
Ciao David, molto interessante il discorso della discrezionalità nel decumulo, tuttavia penso che una soluzione potrebbe essere quello dello spendere i soli dividendi prodotti dal sottostante.
È tutto molto più semplice e anche più logico:
Compro 1000 quote, e a fine anno incasso i dividendi netti, questi sono il capitale spendibile in quanto sono i soli utili aziendali prodotti.
Se opero ad accumulazione, meglio in quanto vado a vendere un numero di quote pari al dividendo netto distribuito, ne consegue che il montante relativo alle tasse resta reinvestito e produce un po’ di compounding sul lungo termine.. cosa che con quello a distribuzione non avviene perché tale capitale viene versato allo stato subito e quindi perso.
Tornando al discorso di consumare i soli dividendi, sarebbe interessante una tua simulazione su quale sia l’esito finale.
Io vedo da multipl.com che il capitale investito, sul lungo, ha sempre offerto degli exit reali positivi anche nei peggiori momenti.
Comunque sul lungo è cresciuto rispetto all’inflazione.
Quindi lato capitale ci siamo.
I dividendi, da quello che ho potuto osservare altrove sono sempre cresciuti più dell’inflazione, quindi avrebbero portato il rentier ad ottenere un miglioramento nello stile di vita addirittura. ( ovviamente tale gap sarebbe stato un po’ ridotto dalla tassazione ).
Se vogliamo essere più precisi ancora, bisognerebbe evitare indici che ponderano per capitalizzazione di mercato perché ci di potrebbe trovare come in situazioni attuale dove l’s&p 500 è strapieno di growth e i dividendi sono molto bassi. Pertanto potrebbe essere più saggio avere degli strumenti che replicano indici con predominanza di aziende più adeguate all’income.
Cosa ne pensi?
Investire e spendere i soli dividendi netti percepiti, avrebbe portato il rentier a soppravvivere sul lungo termine sia lato capitale sia lato rendita in termini reali?
La strategia di utilizzare strumenti ad alto dividendo, a mio avviso, rappresenta una semplificazione di un problema estremamente complesso (appunto quello di costruire una rendita passiva).
Innanzitutto è inefficiente dal punto di vista fiscale: il dividendo è interamente tassato alla fonte mentre la strategia di prelevamento (perpetual withdrawal rate) tassa “soltanto” la parte di plusvalenza maturata.
In secondo luogo le strategie di distribuzione dei dividendi possono essere riviste dalle società. In contesti recessivi o comunque di crisi è altamente probabile che la distribuzione di utili agli azionisti (il cosiddetto “payout”) possa scendere sensibilmente o addirittura essere sospeso.
Infine utilizzando la semplice statistica, un confronto tra un banale etf azionario globale (Ishares core msci world) e un etf ad alto dividendo (SPDR Global Dividend Aristocrats) mostra un divario di performance imbarazzante: +193% dell’etf azionario globale a fronte del +78% dell’etf ad alto dividendo (Just etf 2013 – 2023).