INFLAZIONE AZIONI OBBLIGAZIONI

Credo che ormai sia chiaro a tutti: l’insidia che tiene sotto scacco i mercati e i portafogli è l’inflazione.
L’inflazione è una minaccia per le azioni e, al tempo stesso, mette a dura prova anche le obbligazioni.
Il quadro si fa sempre più minaccioso: sono passati più di 40 anni da quando abbiamo dovuto affrontare un analogo surriscaldamento dell’inflazione.
E le prospettive non indicano certo segnali di miglioramento per i mesi a venire.

Nell’articolo di oggi condivideremo un’analisi non convenzionale sull’attuale scenario inflattivo con l’obiettivo di  capire come agire su portafogli e investimenti.

INFLAZIONE CROLLO AZIONI

Inflazione: una piaga di lungo periodo

L’elevato livello di inflazione è all’origine dell’attuale incertezza e instabilità finanziaria.
Inflazione significa aumento dei prezzi e, quindi, riduzione della capacità di acquisto dei consumatori che, giocoforza, devono ridimensionare le loro spese.
Al tempo stesso l’aumento dei prezzi implica un incremento dei costi di produzione per le imprese che vedono così contrarre i loro margini. Insomma un vero e proprio disastro.

Il problema è iniziato con la pandemia che ha determinato il blocco totale delle attività produttive e degli scambi internazionali. 
Mano a mano che i lockdown sono terminati e sono stati somministrati i vaccini, i consumatori di tutto il mondo hanno ripreso le loro abitudini di spesa dandosi agli acquisti più disparati.
Il problema è che la macchina produttiva globale spenta dopo il lockdown, ha impiegato del tempo per ripartire a pieno regime. 
Quindi, mentre ripartivano prepotentemente i consumi, mancavano i beni da vendere e le materie prime per produrli. 
Si è creato, cioè, un eccesso di domanda e una carenza dell’offerta.
Il risultato è stato l’aumento dei prezzi.
Il dramma del conflitto e i nuovi lockdown in Cina vanno ad aggravare questa situazione visto che interessano aree importanti per l’approvvigionamento di materie prime energetiche, industriali e alimentari.

A quanto pare questa concomitanza di eventi è destinata a perdurare e analisti e gestori sono concordi nel vedere un’inflazione persistente o, peggio, una stagflazione. 
Per contenere i rischi inflattivi le banche centrali hanno reagito preannunciando una lunga serie di rialzi (spiego il meccanismo in questo post)
A detta di molti siamo appena all’inizio e stiamo entrando in un nuovo regime dominato da un livello dei tassi di interesse e dell’ inflazione molto più alto rispetto al passato.
Osservando la situazione oggi, questo sembrerebbe davvero il futuro  più probabile.

Inflazione: c’è qualcosa che non quadra

Eppure fino appena a due anni fa lo scenario era diametralmente opposto.
L’inflazione è stato l’ultimo dei problemi fino al periodo pre covid:
una popolazione mondiale sempre più anziana significa minor crescita e minor produttività. Mano a mano che si invecchia, si esce dalla forza lavoro (si diventa improduttivi) e si diminuiscono anche i consumi (si tende ad acquistare di meno).
Il progressivo calo della domanda provoca il problema opposto, la deflazione, che è tanto insidioso quanto l’inflazione.
Le persone non consumano e  le aziende riducono i prezzi per attirare compratori.
Più che i costi scendono, più che le persone tendono a posticipare i consumi in vista di poter comprare a prezzi più convenienti.
E in attesa che i consumatori acquistino, crollano vendite e utili delle aziende.

Per scongiurare questo rischio, a partire dalla crisi del 2008,  le banche centrali hanno costantemente fornito il proprio sostegno agevolando, quanto più possibile, il ricorso ai finanziamenti per consumi e investimenti  supportando la crescita economica.

Non sono né un analista né un gestore quindi, piuttosto che dispensare analisi e scenari, mi limito ad osservare i fatti noti.
La storia ci insegna che i mercati evolvono sempre (o quasi) in maniera totalmente inaspettata.
Questo significa che quando ci preoccupiamo di coprirci da un rischio, molto spesso si materializza il rischio opposto.

Il senso è, ancora una volta, che avere ragione troppo presto (o troppo tardi) equivale ad avere torto”.
Mentre siamo tutti terrorizzati dalla corsa dell’inflazione, potremo improvvisamente doverci trovare a (ri)fare i conti con il problema opposto.

Lorenzo Ippoliti, uno degli analisti che più apprezzo, in una delle sue recenti analisi osservava:

“All’inizio della pandemia tutti abbiamo pensato fosse uno shock deflazionistico. Semplicemente non era più possibile consumare, soprattutto servizi, e l’economia era stata artificialmente fermata.
Poi i governi hanno messo in campo grossi stimoli, le economie sono state riaperte ma nel frattempo tutta la macchina di produzione just in time si era arrestata e lo shock è diventato inflazionistico. Non vi erano beni sufficienti per soddisfare la domanda.
A questo si è aggiunta la guerra a rendere ancora più grave la crisi energetica e le pressioni sui prezzi.

La scorsa settimana si è evidenziato un capitolo nuovo di questa crisi senza precedenti che tutti noi facciamo fatica a capire: i retailers USA hanno evidenziato un eccesso di scorte, soprattutto di beni di consumo discrezionali.
Per far fronte ai colli di bottiglia delle forniture hanno aumentato gli ordini di acquisto ma ora si trovano con un eccesso di scorte che devono smaltire in qualche modo, in concomitanza con una domanda che rischia di spegnersi.
E’ probabilmente ancora presto per comprenderne a fondo gli effetti ma questo certamente aggiunge un nuovo inaspettato capitolo a questa fase economica iniziata con la pandemia”

In breve, le grandi aziende hanno riempito in fretta i magazzini per fronteggiare la domanda esplosa dopo la pandemia. Ora si trovano a dover smaltire queste scorte proprio mentre la domanda dei consumatori inizia a rallentare.
In altre parole si potrebbe verificare la situazione contraria: un eccesso di offerta con una carenza di domanda.
La conseguenza sarebbe una riduzione della pressione sui prezzi magari proprio mentre iniziano a rientrare le strozzature alle catene di approvvigionamento.
Dal terrore per l’inflazione potremo trovarci a dover riaffrontare lo spettro della deflazione.
Chissà?

Conseguenze pratiche per il portafoglio

La morale, come sempre, è che nessuno sa.

Negli ultimi due anni abbiamo visto come gli eventi evolvano in modo completamente diverso dalle previsioni.
Un’inflazione fuori controllo è oggettivamente uno dei possibili rischi. 
Ma mentre tutti ci prepariamo ad affrontarla puntando sugli asset favoriti dal carovita , i mercati potrebbero coglierci ancora una volta in contropiede con un rallentamento dei prezzi e una debolezza della domanda.
E, in questo caso, le banche centrali che ora sembrano così ostili, potrebbero tornare accomodanti prima del previsto.

Questa non sarebbe necessariamente una buona notizia per i portafogli. Ma diventerebbe una pessima notizia per chi ha basato le proprie scelte sulla certezza di un’inflazione necessariamente persistente.

Purtroppo non esiste una strategia in cui si vinca in tutti gli scenari. Ancora una volta la cosa più ragionevole da fare è cercare di sbagliare il meno possibile:

  • Evitare di gettarsi sugli asset “affollati”:
    Il settore energetico sembra aver imboccato una corsa inarrestabile. Discorso analogo per le materie prime. In uno scenario recessivo e di rallentamento economico difficile credere che possa proseguire questo trend. Per quanto possa avere senso detenere queste asset class in ottica di medio-lungo periodo, inserirle ora in portafoglio o valutare di sovrappesarle mi sembra che esponga a più rischi che opportunità;
  • Non fare market timing (vale anche per l’attività di ribilanciamento):
    I rendimenti a lungo termine includono necessariamente gli emozionanti mercati rialzisti ma, purtroppo, anche gli angoscianti mercati ribassisti. Non si può avere l’uno senza l’altro.
    Pensare di mollare tutto per rientrare quando il peggio sarà alle spalle è la strada sicura per il fallimento.
    Non ho idea di quando i mercati imboccheranno nuovamente la via del rimbalzo, ma è certo che il  mercato rialzista  prenderà vita tra lo scetticismo comune.
    “I mercati rialzisti nascono nel pessimismo, crescono nello scetticismo, maturano nell’ottimismo e muoiono nell’euforia” (cit.)
    Discorso analogo può esser fatto per l’attività di ribilanciamento: asset  che hanno avuto performance strabilianti (come le materie prime), dovrebbero essere utilizzati per incrementare gli asset che hanno più sofferto (come azioni e bond) senza aver la pretesa di individuare il momento più opportuno per farlo;
  • Non sottovalutare il ruolo dei bond nel portafoglio:
    Le obbligazioni hanno perso la loro tradizionale funzione protettiva dai ribassi dell’azionario. Negli ultimi mesi i titoli di stato hanno inaspettatamente inseguito il ribasso delle azioni.
    In realtà l’efficacia diversificativa delle obbligazioni non è la regola: un elevato livello di inflazione penalizza indistintamente azioni e obbligazioni.
    Alla luce dei recenti ribassi i titoli di stato costituiscono una valida protezione dai rischi di rallentamento economico e recessione. Ecco perché, oggi più che mai, nei portafogli deve essere correttamente modulata l’esposizione ai bond
  • L’inflazione potrebbe comunque continuare a sorprendere:
    Non possiamo essere certi su nessuno scenario, dunque non può essere esclusa la view (a questo punto dominante) di un’inflazione persistente.
    Uno degli asset relativamente a buon mercato per tutelarsi da ulteriori fiammate inflattive sono, guarda caso, le obbligazioni indicizzate all’inflazione. Si tratta di una categoria di bond inaspettatamente penalizzata negli ultimi mesi ma che costituisce una buona opzione se l’inflazione non dovesse allentare la morsa. L’importante è comprenderne l’effettivo funzionamento tutt’altro che intuitivo;
  • Rimanere coerenti con la propria Asset Allocation:
    Quando il quadro si fa incerto, le notizie si susseguono e le prospettive peggiorano, l’istinto naturale è quello di darsi all’attivismo per riadattare tempestivamente i propri investimenti.
    Finisce così che i portafogli vengano stravolti e colpiti dal peggio di ogni fase di mercato. In queste situazioni è, al contrario, importante rimanere coerenti con la propria asset allocation e le proporzioni (azioni, obbligazioni, beni reali, liquidità) individuate all’inizio del percorso di investimento;
  • Aumentare la liquidità in portafoglio:
    Nelle fasi di incertezza la liquidità stabilizza il portafoglio e aumenta le opzioni a disposizione in occasione di nuovi ribassi. Ecco perché non è una cattiva idea ribilanciare gli asset in guadagno (materie prime e bond cinesi ad esempio) per accumulare un po’ di liquidità.
contatta David Volpe

Conclusioni

Quando tutti la pensano allo stesso modo nessuno sta pensando

Walter Lippmann

Nel giro di un paio di anni siamo passati  dalla fiducia in una crescita economica straordinaria grazie agli stimoli di governi e banche centrali alla prospettiva di una recessione globale.
Nello stesso periodo i mercati sono passati dallo spettro della deflazione (2020) alla teoria dell’inflazione transitoria (2021) per arrivare a sposare definitivamente l’idea di una staglfazione stile anni 70.
Inferno, paradiso e ancora inferno nel giro di una manciata di mesi.

E se ci stessimo tutti sbagliando ancora una volta?

Per quanto sia difficile, dobbiamo ammettere a noi stessi che nessuno ha idea di quello che accadrà quindi meglio contemplare tutti i rischi possibili. 
Coprirsi da un rischio implica sempre il pagamento di un costo: aumentando la liquidità, si resta parzialmente esclusi dall’imminente rimbalzo, aumentando i bond ci si espone a ulteriori perdite in caso di persistenza dell’inflazione e così via.
Ma il prezzo da pagare per chi punta su un unico scenario è sicuramente più elevato.
Dunque meglio avere l’umiltà di ammettere di non essere in grado di capire cosa accadrà e prepararsi all’incertezza.

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4 Comments

  1. …voler capire il mercato è come cercare di dimostrare se sia nato prima l’uovo o la gallina: NESSUNO LO SA! Per noi comuni risparmiatori solita ricetta: ferreo controllo emotivo, grazie al “bilanciere” il quale deve contenere una corretta dose di liquidità, corroborato poi da una asset allocation a forte diversificazione che composta con “satelliti” per i singoli obiettivi di vita. In ultimo, ma in primis come importanza oggi, sono i costi e l’efficienza fiscale da dover necessariamente ottimizzare. (PUNTO) Buona domenica David, purtroppo oggi la terra toscana solo un ricordo. 😢

  2. Questa domenica voglio essere ancora più invasivo, provo a stimolarti pubblicamente per un futuro Tuo saggio: l’importanza del CAPITALE UMANO. Tutti lo abbiamo, pochi lo percepiscono. La qualità ed il tenore della propria vita, con analisi a posteriore, mi ha permesso di capire che saper gestire quel capitale è determinante rispetto al classico CAPITALE FINANZIARIO, composto da assicurativo, immobiliare e asset mobiliari. Giusto? Grazie e scusa se sono stato inopportuno e fuori tema. Ciao

    1. Il concetto che hai citato è estremamente interessante.
      Se ho ben compreso, fai riferimento al “capitale umano” come alla ricchezza che un individuo è in grado di produrre durante la propria attività lavorativa. Sintetizzando al massimo, la somma dei redditi prodotti da ciascuno di noi dall’inizio dell’attività lavorativa fino al pensionamento.
      Bernstein sostiene che la scelta dell’asset allocation non può prescindere dal considerare anche il capitale umano. Ecco perché in un giovane che dispone di molto capitale umano ma poco capitale finanziario l’esposizione azionaria dovrebbe essere elevata (e, dunque, non parametrata al sono capitale già accumulato).
      Personalmente credo che la questione debba esser comunque coniugata anche con l’aspetto comportamentale (a cui più volte fai riferimento anche tu): un giovane lavoratore inesperto potrebbe venir traumatizzato da un crollo di mercato tanto da ripudiare l’investimento azionario per il resto della propria vita.
      Ho estremizzato il concetto. Sicuramente, se ho ben compreso il riferimento, un argomento stimolante.

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