Uno dei tratti distintivi che hanno caratterizzato i mercati finanziari nell’ultimo decennio è stato lo strapotere delle mega cap.
Le azioni delle grandi società della tecnologia, dei consumi e delle comunicazioni hanno dominato la scena dimostrandosi capaci di generare rendimenti inarrestabili.
Da un anno a questa parte il dominio di questi titani non sembra più così indiscusso: le performance sono state decisamente deludenti.
Occasione di acquisto imperdibile o fine di un’era?
In questo articolo analizzeremo qual è stato il ruolo delle mega cap nel corso degli anni per capire quale sia stato il loro contributo alle performance passate e quale possa essere quello per il futuro.
Cosa sono le mega cap
Con il termine mega cap si fa riferimento alle società quotate più grandi in relazione alla loro capitalizzazione di mercato.
In termini pratici, la dimensione di un’azienda viene calcolata moltiplicando il numero totale di azioni in circolazione per il rispettivo prezzo di mercato.
Questo significa che il valore percepito di una società cambia in funzione delle condizioni di mercato: se sale il prezzo delle azioni sale la capitalizzazione di mercato (e quindi le dimensioni dell’azienda), se scende accade il contrario.
Apple, Microsoft, Amazon, Nvidia, Tesla, Meta Platforms (ex Facebook) e, fino a poco fa Netflix, formano la schiera delle principali mega cap dell’era moderna.
Si tratta di aziende che hanno saputo anticipare (e anche pilotare) le tendenze e le esigenze dei consumatori ponendosi sul lato giusto del cambiamento (cit.).
Grazie alla loro capacità innovativa, alla forza contrattuale e al richiamo del brand, il business di queste società sembra essere incrollabile.
O meglio sembrava:





Il peso delle mega cap nei portafogli
Quando cresce la capitalizzazione di mercato di un’azienda, cresce anche il suo peso all’interno del suo mercato di riferimento (in questo caso il mercato azionario americano).
Questo grafico rende bene l’idea:





La grandezza finanziaria di Apple (misurata, appunto, dalla sua capitalizzazione di mercato) è pari alla somma delle ultime 180 società dell’S&P500.
Complessivamente Apple, Microsoft, Amazon, Nvidia, Tesla, Meta Platforms rappresentano il 20% del mercato azionario americano.
C’è un detto che recita “investi in ciò che conosci”.
Questo vale anche per chi pianifica i propri investimenti attraverso l’utilizzo di strumenti diversificati come fondi o etf.
Il mercato azionario americano è il più importante e, probabilmente, anche il più amato dagli investitori.
Chi ha deciso di investire sull’inarrestabile crescita degli Stati Uniti ha scommesso una parte consistente del proprio capitale sulle mega cap.
Secondo una recente analisi di Ycharts un portafoglio bilanciato 60/40 di tipo tradizionale è esposto per oltre il 7% alle mega cap.
Un processo di investimento consapevole presuppone essere a conoscenza che una buona parte del proprio portafoglio è investita in queste aziende.
Visto che molto spesso i rendimenti passati vengono utilizzati (più o meno giustamente) come metro per misurare la validità di un portafoglio, il passo successivo è capire:
- quanta parte delle performance passate è attribuibile alle mega cap?
- quanto sono ripetibili in futuro i risultati del passato?
Mega cap: quanto incidono sulla performance dell’S&P500?
Tutti siamo attratti dall’irresistibile supremazia del mercato azionario statunitense: le performance degli indici globali impallidiscono al cospetto dell’S&P500 (e, ovviamente, del Nasdaq).
Ma quale sarebbe stata la performance della borsa americana escludendo l’apporto delle mega cap?





Escludendo l’elite delle mega cap (nel grafico basta confrontare la colonna viola dello S&P500 con la colonna arancione chiara) la performance annua dell’S&P500 sarebbe scesa dal 15,17% a un più umano 6,98% (periodo 2015 – 2022).
In altre parole oltre la metà della performance dell’S&P500 è imputabile alla crescita delle mega cap.
Mega cap: cosa ci riserva il futuro?
E’ difficile credere che il futuro non possa vedere confermata la leadership di società che fanno parte della vita di tutti noi.
I prodotti e i servizi che sono associati ai grandi nomi della tecnologia, dei consumi, dei social media sono irrinunciabili oggi e, con molta probabilità, lo saranno anche domani.
Resta il fatto che sulle mega cap si sono alimentate negli anni aspettative di crescita che potrebbero essere difficilmente sostenibili da qui in avanti (“gli alberi non crescono fino al cielo”).
Il business di un’azienda cresce a un ritmo esplosivo nella fase di espansione per poi stabilizzarsi.
Forse siamo un po’ tutti condizionati dal recente passato e siamo portati a pensare che, grazie alla loro grandezza e leadership, queste aziende continuino a crescere al ritmo degli ultimi 10 anni.
Beh, potrebbe non essere così.
Guardando la storia degli ultimi 7 decenni, ci accorgiamo che la leadership non si è mai ripetuta.
Nel corso dei decenni una diversa tendenza ha soppiantato la precedente:





Il grafico mostra i “megatrend” che si sono alternati nel corso dei decenni.
Oggi ci è difficile riuscire a pensare all’Europa o al Giappone come leader di mercato al pari dei moderni Stati Uniti. Eppure in passato è stato così (anni ’50 e anni ’80).
Ma ancora più calzante può essere il paragone con il decennio delle Nifty Fifty, un gruppo di cinquanta azioni ad alta crescita (growth stocks) che costituirono la forza del mercato azionario statunitense.
Facevano parte della corte delle Nifty Fifty aziende del calibro di:
Polaroid, Xerox, McDonald’s, Coca-Cola, IBM, Walt Disney, Gillette ecc.
Allora (come oggi) si trattava di aziende che avevano queste caratteristiche:
- tutti le conoscevano e tutti ne comprendevano il business;
- le quotazioni crescevano a dismisura;
- avevano sovraperformato l’S&P500 per un lungo periodo di tempo.
Le Nifty Fifty venivano definite come azioni da acquistare e detenere in portafoglio per il lungo termine.
Il tratto distintivo era l’elevata dimensione in termini di capitalizzazione di mercato.
Mano a mano che salivano la loro quotazione, venivano sempre più acquistate da investitori privati e istituzionali.
Il rapporto price earning si gonfiò a dismisura fino a quando la FED (neanche a dirlo) iniziò un ciclo di violento inasprimento monetario per contrastare l’inflazione dando il via a un drammatico bear market che sentenziò la fine del dominio indiscusso delle Nifty Fifty:





Alcune di queste aziende furono spazzate via dal mercato, altre hanno ritrovato (dopo decenni) un nuovo splendore.
Mi sembra che si possa trovare qualche analogia con la situazione attuale.
Questo non significa affatto che le mega cap siano condannate all’oblio ma è molto probabile che non continueranno a sovraperformare così come non potranno essere esclusi ulteriori ribassi.





Mega cap, S&P500 e mercato azionario globale: riflessioni finali
L’aspetto su cui molti pongono l’accento è lo spazio sempre più rilevante che le mega cap hanno progressivamente occupato all’interno dell’S&P500.
Come abbiamo già detto nei paragrafi precedenti, alla data di stesura di questo post, le 6 società più grandi (Apple, Microsoft, Amazon, Nvidia, Tesla, Meta Platforms) rappresentano circa il 20% del mercato azionario statunitense (S&P500).
Si tratta certo di un “peso ingombrante” che desta più che qualche preoccupazione ai fini di una corretta diversificazione.
Tuttavia, andando ad analizzare la composizione storica della borsa americana, fenomeni di questo tipo sono, in realtà, la normalità:





Il grafico mostra come le 10 azioni di dimensioni più grandi (linea più scura) nel corso degli anni hanno ricoperto un peso tra il 15 e il 35%. Dunque l’attuale concentrazione dell’S&P sulle mega cap non rappresenterebbe una grande anomalia (anche se oggi siamo sui livelli più alti dagli anni ‘90 🤔).
Resta certo da capire come si comporta il mercato azionario statunitense quando c’è un cambio di leadership all’interno dell’indice di riferimento (la cosiddetta “rotazione”). Non è detto che l’eventuale caduta dei giganti di oggi che lasceranno il posto ai nuovi leader di domani avvenga senza traumi per gli investitori che hanno confidato nella forza indiscussa del mercato USA.
Se la concentrazione dell’indice azionario statunitense su un’elite di titoli non è una grande anomalia, il peso che il mercato azionario statunitense ha assunto sugli indici globali merita qualche riflessione in più.





Alla fine degli anni ‘90 gli Stati Uniti rappresentavano il 35% circa del mercato azionario globale. Oggi questa percentuale è aumentata al 70% circa.
Su questo blog abbiamo già trattato il tema del predominio USA sui mercati finanziari e come la storia indichi che non sempre gli Stati Uniti sono l’area geografica vincente.
Credo che questo aspetto, oggi, debba necessariamente essere considerato per perseguire una diversificazione corretta ed efficace.
Conclusioni
L’errore più grande che fanno gli investitori è credere che ciò che è accaduto nel recente passato possa persistere
Ray Dalio
Spesso si dice che comprare un titolo azionario solo perché sta salendo è stupido.
Analogamente potremmo dire che comprare un titolo azionario solo perché è sceso è poco saggio: i titoli delle società più grandi possono rimanere in cima alla classifica delle preferenze degli investitori per molti anni e per decenni ma questo non significa che continueranno a realizzare performance strabilianti.
Il fatto che molte mega cap siano significativamente scese non vuol dire che debbano riconquistare “la vetta” in tempi coerenti con il tuo orizzonte temporale.
Ricordo che Warren Buffet (che ripone grande fiducia in Apple) ha un orizzonte temporale pari a tutta la vita.
A noi comuni mortali spesso risulta molto difficile ragionare su decadi, figuriamoci su tutta la nostra vita: le azioni sopravvalutate (cioè con un elevato rapporto price earning come, appunto, le mega cap) di tanto in tanto vengono massacrate dalla perdita di fiducia degli investitori come dimostra la storia dei grandi temi del passato.
Ciò che ha funzionato in passato può sicuramente funzionare ancora a lungo ma diversificare per proteggersi da un futuro incerto e imprevedibile resta la scelta più intelligente.
Leggi anche:
L’irreversibile supremazia del mercato azionario USA;
Tecnologia: crolla il castello di carta;
Fortifica il tuo portafoglio con l’investimento fattoriale;
Small Cap: piccolo è bello.
Buongiorno David, da comune investitore prendo al volo questo spunto per sottolineare l’importanza della vera consulenza per selezionare strategie attive (fondi) e passive (etf) per creare quel giusto connubio di portafoglio. Solo l’attenta analisi delle gestioni attive può far emerge quella capacità di creare alpha tramite una selezione titoli da mantenere a basso rolling, infatti proviamo ad immaginare le giant Cap oggi in parola di crollo se inserite ai loro albori! Non credo che possano restituire una performance negativa nel medio lungo periodo. Diverso poi la possibilità di creare spin-off all’interno di medesimi settori andando a implementare gli etf quale asset macro, con fondi che utilizzano small e micro Cap, da criticare profondamente sia verso benchmark dichiarato che l’etf di settore specifico, che nel passato abbiamo dimostrato costanza di sovraperformare il mercato, in modo da avere poi delle giant Cap future senza acquistarle ma avendole viste crescere. Sempre grazie per questo tuo immenso contributo settimanale. Ciao