CIRSI GEOPOLITICHE E ANDAMENTO MERCATI FINANZIARI

Siamo usciti dal tunnel della pandemia per entrare nel bunker della guerra”  D.M.

Questa è l’emblematica considerazione di un investitore che ho il piacere di assistere.
Non abbiamo ancora voltato la triste pagina del covid e già ci troviamo a fare i conti con il dramma di una guerra.

Le conseguenze di un conflitto sono così gravi e profonde in termini di vite umane e scenari futuri che diventa difficile trattarle in chiave finanziaria.
Sebbene possa sembrare cinico e insensibile preoccuparsi di finanza quando c’è una guerra in atto, chi opera nel settore non può far altro che seguire la logica opportunistica dei mercati: molti lettori mi hanno chiesto in che modo le crisi geopolitiche influenzano l’andamento delle borse mondiali.

In questo articolo analizzeremo il comportamento dei mercati azionari durante i principali conflitti e proveremo a dare una lettura dell’attuale crisi ucraina.

Relazione tra guerre e mercati

Sembra proprio che, come investitori, siamo tutti vigili a preoccuparci delle guerre al primo colpo di cannone e altrettanto celeri a dimenticarci di ogni conflitto.
Ripercorrendo la storia dei mercati è incredibile notare quanto siano frequenti gli scontri bellici anche nell’età moderna: dal 1950 ad oggi abbiamo avuto ben 14 guerre che hanno visto la partecipazione della Russia 9 volte. ( cfr. enciclopedia britannica).
Ogni volta le notizie diventano sempre più tragiche con toni che richiamano la terza guerra mondiale.
Si teme il rialzo delle materie prime, l’arrivo di una recessione, le case di gestione aggiustano il tiro (tanto per restare in tema) e si fanno più prudenti.
E, immancabilmente, tutti vorrebbero disfarsi dei propri investimenti per comprare oro e materie prime.

Secondo una vecchia e ottima regola empirica, i mercati odiano l’incertezza più di ogni altra cosa. Sicuramente poche situazioni generano più incertezza della minaccia di una guerra.
E l’incertezza diventa ancora più forte quando la guerra scoppia nel periodo di pace globale più lungo della storia del mondo (senza considerare i conflitti locali a cui l’uomo non può proprio rinunciare).

Tuttavia la relazione tra crisi geopolitiche e mercati azionari non è così semplice e lineare come sembra.

Performance dei mercati durante la guerra

Questo grafico mette in relazione l’andamento del mercato azionario più rappresentativo (S&P500) con le guerre che, purtroppo, ciclicamente coinvolgono una qualche parte del mondo:

GUERRE E PERFORMANCE AZIONI

La linea nera mostra l’andamento dell’indice S&P500 dal 1982 alla data di stesura di questo post.
Le aree colorate indicano, invece, l’andamento dello stesso indice durante i maggiori conflitti evidenziando la performance complessiva del periodo.

Cosa si deduce dal grafico?

Tra gli eventi riportati soltanto in un caso si è registrata una performance negativa (guerra in Libia nel 2011).
Attenzione a giungere alla superficiale conclusione che le guerre siano necessariamente “bullish”.

In realtà la reazione dei mercati  dipende dal contesto in cui questi si trovano quando scoppia la guerra. Cercare una relazione tra le guerre e l’andamento delle azioni rischia di diventare un esercizio fuorviante.

Sarebbe un po’ come voler trovare una relazione tra la vendita di gelati in spiaggia e gli attacchi degli squali ai bagnanti:

GUERRA E MERCATI AZIONARI

Dal grafico si potrebbe essere portati a pensare che gli attacchi degli squali crescano proporzionalmente alla vendita dei gelati. Dovremo dunque credere che agli squali piaccia il gelato? 
Credo che si possa dire la stessa cosa per i mercati azionari e per le guerre.

Se proprio vogliamo fare un’analisi con un briciolo di senso pratico, dovremo analizzare quale può essere l’impatto di una guerra in termini di ribasso e di tempo di recupero delle azioni.

Drawdown e time to recovery in tempo di guerra

Quanto possono scendere le azioni durante un conflitto? E quanto tempo possono impiegare per recuperare i valori precedenti al crollo?

Questa tabella riassume il ribasso massimo registrato dalle azioni durante i conflitti armati più importanti.

Vengono riportati in ordine:

l’evento (“market shock events”), la data in cui si è verificato (“event date”), la reazione del mercato il primo giorno del conflitto (“one day”) , il ribasso massimo (“total drawdown”), i giorni che il mercato ha impiegato per toccare il minimo (“bottom”), e i giorni che ha impiegato per recuperare (“recovery”):

La conclusione sensata che possiamo trarre è che nella storia le conseguenze sui mercati delle crisi geopolitiche, in media, producono performance negative nel breve termine.
Tuttavia il tempo di riassorbimento dei ribassi è piuttosto contenuto: le discese, in genere, sono rapide e i recuperi altrettanto.

Le uniche eccezioni riguardano, invece, i conflitti che coinvolgono Paesi cruciali per il funzionamento dell’economia mondiale.
E’, ad esempio, il caso dell’invasione del Kwait da parte dell’Iraq che provocò una discesa profonda e un lungo tempo di recupero.
Vale la pena ricordare che nel 1990 l’economia era già in una fase di rallentamento.
L’invasione fece alzare il prezzo del petrolio che accelerò il declino economico.

contatta David Volpe

L’attacco della Russia: conseguenze per l’economia

E’ molto difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro.

Niels Bohr

Al momento l’evoluzione più probabile è che il conflitto, nella sua drammaticità, rimanga circoscritto all’area Ucraina.
Sebbene non sia limitato alle regioni del Donetsk e del Luhansk come ipotizzato in fase iniziale, difficilmente coinvolgerà altri paesi.
L’obiettivo iniziale di Putin sembrava essere quello di conquistare Kiev in modo più o meno indisturbato , far cadere il governo, disperdere l’esercito e instaurare un governo filorusso.
Tuttavia dopo una prima blanda reazione, l’occidente ha reagito con sanzioni pesanti che avranno ripercussioni pesanti per l’economia e il sistema finanziario russo:

  1. l’esclusione di alcune importanti banche russe dal sistema Swift: questo rende di fatto quasi impossibile effettuare pagamenti verso la Russia (sono esclusi dal provvedimento i pagamenti legati all’energia);
  2. Il congelamento delle riserve in euro e in dollari della banca centrale Russa.
    Praticamente la banca centrale russa non ha più la disponibilità di accedere ai suoi conti valutari all’estero. La banca russa, dunque, non potrà utilizzare le riserve esponendo, così, la valuta nazionale ad una forte svalutazione con pesanti conseguenze economiche.

Abbiamo detto nei paragrafi precedenti che il fattore determinante non è il conflitto in sé ma il contesto di mercato in cui questo si materializza. 
L’aspetto più importante riguarda, probabilmente, quale sarà l’effetto della guerra sul mercato delle materie prime i cui prezzi sono già abbondantemente surriscaldati e rischiano di aggravare la spirale dell’inflazione.

E a questo punto entra in gioco la variabile più importante: come reagiranno le banche centrali rispetto a queste variabili?
Proseguiranno con ancora più decisione il percorso di normalizzazione e rialzo dei tassi?
O viceversa manterranno un atteggiamento più cauto per non compromettere una crescita economica su cui gravano già le incognite di un conflitto e di sanzioni che potrebbero avere ripercussioni anche oltre i confini russi?

Come ognuno di noi, anche io ho le mie convinzioni che, tuttavia, servono a ben poco.
Quel che conta è avere un corretto piano di investimento.
Il che ci porta direttamente alle conclusioni.

Conclusioni

Purtroppo, per quante guerre si perdano, c’è sempre qualche idiota che le ritrova. Possiamo solo augurarci che un giorno o l’altro ne dichiarino una e non si presenti nessuno a combattere.

Dylan Dog

Abbiamo visto come la relazione tra guerre e mercato azionario non sia così lineare:

statisticamente le azioni, dopo una prima fase di debolezza, tendono a recuperare velocemente. Quel che succede dopo dipende molto più dal contesto economico che non dal conflitto stesso.

La lettura della storia ci dà anche un altro importante insegnamento: i mercati tendono ad anticipare gli eventi con una straordinaria rapidità ed efficienza. Quando una notizia è di dominio pubblico possiamo stare certi che i prezzi dei mercati vi si sono già ampiamente adeguati.

Dunque oggi  lo scenario più cupo dovuto all’inflazione, alle banche centrali, alla guerra è ormai già nei prezzi e nella correzione che si è già materializzata.

Sappiamo anche che, statisticamente dopo una correzione, aumentano le probabilità di rimbalzo.

Questa tabella di LPL Financial Research mostra quanto sia s probabile imbattersi in un rialzo dopo una correzione:

Dopo un ribasso del 12% dell’ S&P500 mediamente si registra un rialzo del 21%.
Non sappiamo se sarà così anche questa volta ma resta il fatto che liquidare gli investimenti dopo o durante una correzione non è mai stata  una buona idea.

Se sei convinto del contrario forse ti gioverà ricordare che nei mercati quotati per fare prezzo e concludere una vendita è necessario l’incontro di domanda e offerta.
Chi vende a un determinato prezzo avrà i suoi buoni motivi quando dall’altra parte, a quello stesso prezzo, qualcuno starà comprando…. Probabilmente uno dei due non sta facendo bene i suoi calcoli (cit.): cerca di non essere tu.

Ricevi gratuitamente tutti i nuovi articoli via mail, insieme ad aggiornamenti esclusivi!

Iscriviti

* indicates required
Potrebbero interessarti anche

4 Comments

  1. Buona domenica, il problema di fondo è che la società mediatica virtuale globalizzata rende ogni evento dentro direttamente nell’essere umano “civilizzato in rete”, attraverso una disinformazione fuori controllo che martella la mente del singolo. Tutti proferiscono giudizi, nessuno soluzioni. Da qui la fragilità dell’uomo si trasmette nella finanza, attraverso i mercati, mossi sia dalla irrazionalità della mente umana che agisce in modo emotivo, spesso segue la massa così al massimo sbaglia come gli altri, con in più gli algoritmi odierni presenti in modo massiccio nelle transazioni, cito solo uno strumento ad esempio il VIX. Dai, facciamo che l’uomo sia ancora vincente prima con se stesso e poi con gli altri, la ricetta? In finanza semplice, hai la Tua asset allocation, devi rimanere fedele ad essa, altrimenti smentisci te stesso. Il consulente deve creare un portafoglio per raggiungere gli obiettivi del cliente, non per gestire i cigni neri nel percorso. IMHO

  2. Bellissimo articolo, David è di gran lunga il mio blogger finanziario preferito nonché una persona che dimostra grande competenza. Grazie David per questa condivisione settimanale delle tue competenze e conoscenze.

  3. David, lei è una persona davvero interessante, compente e pacata. Seguo con estremo interesse i suoi suggerimenti e le sue opinioni, ovviamente non in maniera acritica. Devo dire che ho tratto spunto da uno dei suoi portafogli pigri per l’investitore Europeo, ovvero il golden butterfly, costruito da poco, ma già rivelatosi interessante. Continui così e saremo sempre più ad apprezzare la sua serietà ed i suoi consigli, anche precisi, dati alle volte in maniera del tutto disinteressata, nei minimi particolari; cosa assolutamente non scontata fra i suoi colleghi. Poi ovvio che se si volesse una maggiore personalizzazione e consulenza personalizzata…. giusto pagare. Nessuno lavora gratis; lei però riesce perfettamente a trovare la giusta via….. Grazie ancora. Luca.

    1. Grazie per avermi voluto comunicare il suo apprezzamento Luca.
      L’obiettivo dei miei articoli è quello di comunicare il messaggio che è sempre il mercato a creare le performance. I rendimenti non sono fatti né dai consulenti né dai gestori: i contenuti vogliono, appunto, mettere in guardia il lettore da chi vende o promette rendimenti.

      Un portafoglio “robusto” correttamente costruito deve mettere l’investitore in condizione di raccogliere le performance che il mercato naturalmente offre. In questo modo si vince sempre purché si investa per i tempi corretti.

      Come mettere a punto un portafoglio idoneo e come manutenerlo correttamente è un impresa molto più complessa di quanto si possa credere.
      Le soluzioni sostanzialmente sono tre:

      – Lo faccio fare agli altri;
      – Lo faccio insieme a uno competente;
      – Lo faccio da solo.

      Capire e riuscire a realizzare come investire correttamente è paragonabile ad affrontare un complesso percorso di studi e, normalmente, il costo tempo-beneficio è largamente a favore della ricerca di un pianificatore competente (e onesto).
      Costruire un portafoglio vincente che abbia tempi di recupero accorciati e drawdown ridotti è un’attività estremamente tecnica a cui occorre dedicare studio e tempo importanti oltre che una buona dose di esperienza (che significa aver già commesso tutti gli errori possibili).
      La scelta tra le tre alternative si riduce a capire quanto costa il proprio tempo libero da dedicare allo studio finanziario piuttosto che pagare chi è in grado di farlo per professione seguendo anche l’aspetto comportamentale che è ancora più importante.

      Un caro saluto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *